Regionali Liguria: cosa dice l’elezione di Bucci a governatore

Marco Bucci Liguria
Governatore Liguria Bucci

Il sindaco di Genova, dopo un lungo spoglio al cardiopalma, l’ha spuntata sull’ex ministro Andrea Orlando

La giornata è stata lunga e appassionante; ma alla fine, dopo il più classico degli italici spogli elettorali a rilento, Marco Bucci, all’ultimo voto, è stato eletto nuovo presidente della Regione Liguria in successione dell’uscente Giovanni Toti: 48,8% la percentuale ottenuta dal neogovernatore ligure e sindaco di Genova, a fronte del 47,33% racimolato dallo sfidante del cosiddetto campo largo Andrea Orlando. In picchiata il dato sull’affluenza alle urne che, a conclusione della due giorni di voto, si è attestato al 45,9% con una flessione di oltre 7 punti percentuali rispetto alla volta scorsa. Due le riflessioni che favorisce a un osservatore della politica questo risultato per certi versi inaspettato e non certo scontato dopo la tempesta mediatico-giudiziaria abbattutasi sulla precedente guida politico-amministrativa della Regione.

Il messaggio alla classe politica

A prescindere dal risultato che consente di governare per altri 5 anni una delle regioni più importanti del Nord Italia, il segnale che gli elettori hanno lanciato in questa tornata elettorale non può non interessare ed investire, esortandoli a una riflessione profonda, ove mai ne fossero capaci o ne avessero la voglia, anche i vincitori del centrodestra locale e nazionale; oltre che, ovviamente, i principali contendenti del centrosinistra.

Un’astensione al preoccupante dato del 53%, infatti, non può certo essere relegata a considerazioni scontate quali l’evoluzione e/o la maturazione della democrazia verso forme di partecipazione più ridotte ma consapevoli. Quando più della metà dell’elettorato preferisce non esercitare il proprio diritto-dovere di votare, siamo ben oltre una fisiologica soglia di astensione che affligge, chi più chi meno, tutte le più avanzate democrazie del pianeta. Il messaggio dei liguri e prima ancora di loro dei sardi e tanti altri italiani è chiaro: la politica, tutta, non li rappresenta più e non credono più nello strumento democratico della preferenza elettorale per cambiare lo status quo e migliorare la condizione propria e dei propri figli. Sul perché e per come ci si è arrivati a questa triste situazione, ci sarebbero da spendere fiumi di parole che, in tempi di rapidità e velocità imposte dai social anche ad un’analisi politico-elettorale, risulterebbero superflue e da alcuno o quasi colte. Per questo passiamo oltre e soffermiamoci sul secondo segnale che questo voto lancia a un altro corpo dello Stato che non è il Governo: la magistratura.

Il segnale ai giudici

Il voto ligure e, nello specifico, l’elezione del candidato di centrodestra Bucci, ci dice anche un’altra, importante, cosa: la credibilità della magistratura, agli occhi di chi ancora si reca alle urne, è pari o quasi a quella, screditata, della classe politica. A questo voto anticipato, è bene ricordarlo, si era arrivati perché i giudici avevano indotto alle dimissioni il governatore in carica Giovanni Toti, mettendolo agli arresti domiciliari fino a che avesse lasciata la carica e patteggiato una condanna poco più che simbolica viste le accuse mossegli. Ecco, la continuità politico-amministrativa che Bucci, in virtù del mandato ricevuto dagli elettori, garantirà con la precedente amministrazione di centrodestra, informa la magistratura, in questo caso ligure, che gli italiani non hanno più l’anello al naso e lontani sono i tempi nei quali, come un sol uomo, sostenevano il pool di Mani Pulite e le inchieste che condussero al crollo della Prima Repubblica e alla fine di 50 anni di potere partitico Dc-Psi-Pci. Insomma, la classe politica non la seleziona più quella parte della magistratura che vorrebbe al potere solo certi partiti sbilanciati fortemente a sinistra e che poi, si veda i casi che da Nord a Sud investono il PD, quando si indaga anche e liberamente su di loro, si scoprono essere corrotti come e più degli altri. Se siamo arrivati a questo, qualcuno, nel terzo potere dello Stato, deve porsi qualche domanda e darsi più di una risposta.

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